Siamo in pieno cambiamento e la TV che conosciamo non sarà mai più la stessa. La piattaforma Amazon Prime Video si è lanciata a capofitto, prima delle altre, nella distribuzione di contenuti tipicamente televisivi in Italia: format di varietà, reality e in futuro partite di calcio. Sta capitando con “LOL: Chi ride è fuori”, uno show di 6 puntate, tratto da un format giapponese, dove una serie di comici si trovano nello stesso ambiente per 6 ore facendo cose assurde e tentando di far ridere i colleghi: chi ride viene eliminato. Lo show in questi giorni ha avuto un boom di visualizzazioni cambiando per sempre i paradigmi dei contenuti italiani.
Ma perché?
Per capire perché la parola “televisione” assume ormai un significato più simile a “device” rispetto a un mondo con un modello di business, oggi totalmente in discussione, che l’ha vista essere regina dei mass media per decenni, dobbiamo ripercorrere brevemente la storia della TV come la conoscevamo fino a questi ultimi anni.
Il 3 gennaio 1954 nasce la TV italiana a Torino, poi Milano e Roma. Con un sistema di ripetitori a monte e di antenne a valle iniziano le trasmissioni televisive analogiche. I televisori si diffondono. Per 20 anni circa, la RAI, come TV di Stato detiene il monopolio e viene chiesto un canone di abbonamento ai cittadini. Anche se non la guardano.
Sul finire degli anni 1970 la situazione cambia. Cambia culturalmente e sulla scia del periodo storico nascono le TV private locali. Come radioamatori pirati anziché issare le vele, piazzano piccoli trasmettitori sui tetti e attrezzano seminterrati e piccoli teatri a studi televisivi. Ma anche la RAI non sta a guardare. In quel periodo l’istituzionalità e la rigidità di un certo tipo di TV di servizio lascia un poco spazio a programmi e varietà innovativi, capostipiti dei format più moderni grazie ad autori geniali come Trapani, Magalli e Boncompagni, per citarne alcuni. Il programma “Non Stop” del 1977-79 lanciò praticamente gran parte dei cabarettisti, attori e registi dei decenni successivi e non aveva un conduttore.
Gli anni 1980 sono gli anni dell’avvento delle TV commerciali, dominate dalle emittenti Mediaset e dalla comparsa degli spot pubblicitari al posto del Carosello. La RAI non ha più il monopolio delle trasmissioni. L’Auditel è la società terza che detiene il monopolio della misurazione degli ascolti a campione, e di conseguenza stabilisce dove andranno gli investimenti pubblicitari. A differenza degli Stati Uniti e qualcosa in Svizzera la TV via cavo non è mai stata permessa in Italia. Questo ha fatto si che di fatto non si sia mai concepito un abbonamento a pagamento per vedere la TV.
Arriviamo agli anni 1990. Grazie all’avvento dei satelliti per il broadcast e di due emittenti che ottengono la possibilità di trasmettere in Italia (Tele+ e Stream) si diffondono decoder per la visione delle partite di calcio in diretta e in digitale. E’ la svolta. Gli abbonamenti sono facilmente “piratabili”, e su tutto il territorio si diffondono parabole e decoder. Dura qualche anno, poi ecco che arriva SKY. Acquisiti i diritti delle partite di calcio e distribuendo decoder con un sistema di crittografia digitale inattaccabile la gente si rassegna ad acquistare gli abbonamenti. I primi anni 2000 segnano di fatto l’avvio dell’era della TV a pagamento in Italia in “pay per view”.
Questo fenomeno preoccupa la TV via etere. Mediaset è l’editore che più tra tutti punta a fare concorrenza a SKY sui diritti delle partite di calcio e il proprietario Berlusconi, che nel frattempo è diventato Capo del Governo favorisce la transizione al digitale terrestre in Italia, che tra le prime in Europa si prepara tra il 2004 e il 2006 alle trasmissioni digitali anche via antenna. Decoder e schede CAM per la TV permetteranno così di avere canali crittografati anche sulla piattaforma terrestre.
Gli anni successivi sono preparatori all’epoca che stiamo vivendo oggi. La TV digitale terrestre si dichiarava interattiva (attraverso il protocollo MHP) ma non lo è mai stata. Nel frattempo il miglioramento delle connessioni internet casalinghe e sistemi di compressione video digitale sempre più efficienti hanno introdotto la TV on demand. Finalmente.
Netflix è la società che più rappresenta questo cambiamento. Arrivata forse troppo presto, negli States, ha rischiato il tracollo all’inizio della sua vita, ma poi gli investimenti hanno portato i loro frutti.
Il paradigma della TV on demand cambia radicalmente la fruizione televisiva, trasformandola, come dicevamo, in un device, in uno dei tanti schermi sui quali è possibile guardare i contenuti. Trascinando con sé tutti i contenuti tipicamente on demand (cinema, series, documentari, cartoon) senza interruzioni pubblicitarie, e in questi ultimi anni sempre più eventi in streaming, ovvero dove è importante la sincronia tra lo spettatore e una diretta (format TV, eventi musicali, sport).
Anche se non è lecito, la condivisione degli abbonamenti alle varie piattaforme sta aumentando vertiginosamente gli utenti, complice anche la pandemia del 2020-2021 con la chiusura di teatri, stadi e cinema.
Amazon e Dazn trasmetteranno il calcio in streaming per il 2021-2022. E adesso con il primo vero programma di successo, “LOL”, anche format tipicamente televisivi sbarcano on demand.
Per quasi 70 anni i broadcaster hanno fatto la battaglia delle piattaforme, costruendo la loro concorrenza sulla capacità di creare costose infrastrutture di trasmissione fatte di antenne e satelliti. Oggi dovranno diventare semplici editori, e basare finalmente il loro business sui contenuti da offrire. Rivedendo completamente il modello di business. Questo è il vero grande successo.